Il nuovo reato di autoriciclaggio va interpretato con rigore e attenzione da parte della magistratura. Da una parte un monito, dall’altra una speranza. Confindustria, nella circolare n. 19867, fissa l’attenzione sulla disposizione del Codice penale, articolo 648 ter, introdotta dalla legge n. 186 del 2014, sottolineandone gli aspetti più problematici. Che riguardano sia il versante delle società sia quello delle persone fisiche, nel segno comune di una preoccupazione per una eccessiva severità della risposta penale.
Per le società cruciale è l’inserimento dell’autoriciclaggio nell’elenco dei reati presupposto della responsabilità prevista dal decreto 231/01. Una scelta che arricchisce il sistema sanzionatorio quasi all’eccesso. Cartina di tornasole, mette in evidenza Confindustria, la considerazione del reato tributario come presupposto dell’autoriciclaggio. In questo caso, infatti, vengono a cumularsi una pluralità di sanzioni:
quella amministrativa;
quella penale per il reato-base;
quella penale per l’autoriciclaggio;
quella amministrativa, da decreto 231 a carico dell’impresa.
Una mole di misure che rischia di essere poco compatibile con quel principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico che è il ne bis in idem. E tanto più se letto alla luce dell’interpretazione data da poco più di anno dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha censurato la disciplina italiana in materia di market abuse che ammette una proliferazione di livelli sanzionatori, in una misura paragonabile a quella attuale dell’autoriciclaggio.
Ma fondamentale, nella lettura di Confindustria, resta l’impatto della nuova fattispecie sulle imprese e sulle prospettive di adeguamento dei modelli organizzativi. Le difficoltà nascono dal fatto che l’intreccio tra autoriciclaggio e responsabilità delle società non è affatto chiaro: il legislatore, infatti, non ha specificato in quale modo deve essere inteso il generico riferimento al «delitto non colposo» come reato base dell’autoriciclaggio. «Pertanto – osserva la circolare – non è chiaro se l’eventuale responsabilità dell’ente è limitata ai casi in cui il reato base rientra tra i reati presupposto di cui al decreto 231, ovvero se essa possa configurarsi anche in presenza di fattispecie diverse».
E la potenziale, illimitata, estensione della categoria dei reati base non sarebbe allora priva di conseguenze pratiche, visto che, a quel punto, lo stesso sistema di prevenzione ancorato ai modelli organizzativi (sui quali Confindustria, con linee guida riconosciute anche dalla magistratura, agisce da tempo) verrebbe sovraccaricato in maniera abnorme e, di conseguenza, perderebbe di efficacia. Per ovviare a una lista dei reati presupposto potenzialmente illimitata per effetto del rinvio a una serie di reati non colposi non indicati in maniera esplicita, la soluzione non può allora che essere, avverte la circolare, considerare reati base ai fini dell’autoriciclaggio quelli compresi nell’elenco attuale dei reati presupposto da decreto 231.
La circolare ricorda poi altri punti critici. Tra questi, la necessità di una corretta interpretazione del nuovo reato che si distingue per le modalità della condotta, che deve risultare idonea a nascondere la natura illecita delle utilità ricavate dal reato base. Un aspetto che dovrà trovare un riscontro sul piano giudiziario per evitare il rischio di sanzionare a titolo di autoriciclaggio anche operazioni che non avrebbero titolo per rientrarvi.
A questo riguardo è determinante l’utilizzo da parte del legislatore dell’avverbio «concretamente» per qualificare la condotta idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita della provvista.
Una corretta lettura da parte dell’autorità giudiziarie eviterebbe imputazioni automatiche in caso di reato tributario. Quest’ultimo, infatti, determina per la sua natura un risparmio d’imposta che resta incasellato le risultato di esercizio, e, quindi, automaticamente reimpiegato nell’attività d’impresa con il rischio allora di doppia sanzione (per reato fiscale e autoriciclaggio).
Fonte: Ilsole24ore – Giovanni Negri